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GLI ABUSI DI EQUITALIA E DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE
Ultimo aggiornamento 24/11/2014
SPECIALISTA I RICORSI AVVERSO AVVISID DI ACCERTAMENTO, CARTELLE, INTIMAZIONI, IPOECHE E FERMI AMMINISTRATIVI

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Le attuali norme poco chiare e incostituzionali costituiscono una vera e propria dittatura fiscale

1. L'iscrizione ipotecaria - 2. Il Solve et repete, Solve et repete ossia prima paga e poi richiedi (quando hai ingiustamente pagato)  - 3. L'iscrizione a ruolo in pendenza di giudizio - 4. La sentenza è esecutiva solo per lo Stato

1. L’Iscrizione ipotecaria sulla casa

Senza dubbio la più odiosa e vergognosa azione nei confronti dei contribuenti è l’iscrizione ipotecaria sulla casa. L’attuale normativa ad Equitalia un potere enorme. Nessuna norma inoltre obbliga l’Equitalia ad azioni alternative quali il fermo amministrativo o il pignoramento mobiliare, fino al 2007 l’iscrizione ipotecaria veniva addirittura comunicata per posta prioritaria e migliaia di persone si sono trovate la casa all’asta senza nemmeno sapere perché.

Tutta questa tirannia fiscale,  comporta stress, paura, ansie e genera un’intensa sensazione di ingiustizia nei cittadini che notano come sia difficile sequestrare i beni ai malavitosi, mafiosi o camorristi e cosi facilmente alla gente per bene.

Inoltre si discute in giurisprudenza sulla natura giuridica dell’iscrizione ipotecaria se sia cautelare o espriopriativa, molti giudici la ritengono cautelare, a mio avviso e’ una vera e propria espropriazione, anche su questo e’ necessario un intervento legislativo atto a garantire i contribuenti contro le aggressioni della macchina fiscale sul bene piu’ prezioso per la vita di un lavoratore la propria casa.

Io personalmente farei rientrare la prima casa tra i beni insequestrabili e impignorabili, una norma successiva ha sancito l'impignorabilità della prima casa, ma come è scritta di fatto consente a Equitalia di mettere ipoteca, anche se non può vendere.

 

2.Il Solve et repete prima paghi e poi parliamo – ma non era incostituzionale? Oggi il principio è di fatto di nuovo attuato, tra gli accertamenti impoesattivi e l'obbligo di pagare subito 1/3

L'art.29 del Dl. n. 78/2010, pretende il pagamento di 1/3 di quanto richiesto sull'accertamento, questa pretesa è incostituzionale, inoltre quando si fa un ricorso alla Commissione tributaria bisogna chiedere la sospensione, che e’ quasi un miraggio ottenere, per cui prima paghi e poi discutiamo. Gli accertamento poi sono diventati impoesattivi, quindi attenzione non c'è più bisogno della cartella trascorsi 6 mesi va tutta ad equitalia, che tra l'altro al 61 giorno becca l'8% di aggio esattoriale per aver fatto cosa?

La discrezionalità sulla valutazione della sussistenza del requisito per ottenere la sospensione è affidata ai giudici, si basa su una libera interpretazione, che poco valuta le conseguenze della mancata concessione del beneficio.

Poi se la sospensione viene concessa la causa la si fa dopo un mese, in caso negativo si aspettano anche anni, questo in barba alla parità di trattamento tra contribuente e fisco.

Il solve et repete era stato dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale in data 31 marzo 1961, sentenza  n. 21, alla sentenza sopra richiamata n. 21 del 1961 si era aggiunta la  Corte costituzionale sentenza n.79 del  30 dicembre 1961 - Corte costituzionale (cfr. Gazzetta Ufficiale del 5 gennaio 1962) con   la   quale   la   Corte   aveva   dichiarato   l'incostituzionalità e l'illegittimità  del  2°  comma  dell'art.  52  della L. n. 762/1940 (legge organica sull'I.G.E.). Nel diritto tributario il principio del solve et repete significava che il contribuente prima doveva pagare poi faceva ricorso : in sostanza prima egli doveva pagare l’imposta e poi doveva richiedere il rimborso, tramite il giudice, quanto indebitamente pagato. Il principio serviva ad assicurare più facilmente alla Pubblica Amministrazione le entrate tributarie ed era attuato in varie leggi, che però sono state tutte dichiarate incostituzionali, a partire dalla sentenza 29/3/1961 n. 21 della Corte Costituzionale, per contrasto con gli arti. 3, 24, 113 Cost. Il principio,  trova oggi di nuovo attuazione con le nuove norme , ma evidentemente il legislatore l’ha dimenticato e gli stessi giudici fanno finta di niente, allo stato servono soldi!!!

Secondo l’art.47 del Dlgs 546/92, infatti, la sospensione del provvedimento tributario impositivo/esattivi e’ subordinata al concorso del fumus boni juris e del periculum in mora

Il primo requisito, che consiste nel riconoscimento da parte del giudice della fondatezza delle ragioni  del contribuente a seguito di un sommario esame del ricorso non pone problemi, a differenza dol secondo requisito la cui attuale formulazione non consente di solito la concessione della sospensione del ruolo nonostante la pretesa fiscale risulti palesemente infondata.

Infatti nelle obbligazioni patrimoniali tributarie la possibilità della configurazione del danno grave e irreparabile e’ abbastanza remota, salve casi del tutto eccezionali.

L’unica soluzione al problema e’ il mutamento della vigente, ma anacronistica locuzione danno grave e irreparabile con la piu’ adeguata formula gravi motivi. Questa nuova formula gravi motivi, in presenza di un alto grado di fondatezza del gravame del contribuente, farebbe ritenere immanente il periculum in mora a causa dell’ingiusta e anticipata soddisfazione della pretesa fiscale.

La modifica risulterebbe conforme  alla sopravvenuta disciplina ex art.29  Dlgs 46/1999 che introdusse appunto a posteriori in tema di garanzie per il contribuente la formula gravi motivi per la sospensione della riscossione coattiva mediante ruolo nelle controversie tributarie di competenza allora del giudice ordinario, devolute poi nel 2002 al giudice tributario.

Contestualmente dovrebbe essere eliminata l’altra anomalia esistente prevedendosi la possibilità dell’appello  avverso il provvedimento concessivo  o meno della sospensione cautelare tributaria da parte del giudice tributario di prime cure, attualmente non previsto dall’art. 47 del Dlgs 546/92 in contrasto con la generalità delle disposizioni di altri settori dell’ordinamento in materia cautelare.

 

                         3.L’iscrizione a ruolo e la notifica della cartella in pendenza di giudizio

Ormai e’ prassi consolidata, che in pendenza di giudizio, cioe’ con un ricorso presentato l’Agenzia delle Entrate procede all’iscrizione a ruolo senza nemmeno aspettare la concessione o meno della sospensione. Le Agenzia delle Entrate si rifanno all’art 15 del  Dpr 602/73 in base ad un articolo anche non espressamente abrogato, ma di fatto inapplicabile per contrasto con l’art 68 del  Dlgs 546/92 che vieta l’iscrizione a ruolo se non e’ stata pronunciata la sentenza di primo grado favorevole all’amministrazione finanziaria.

E’ chiaro che il principio del solve et repete (prima paghi poi parliamo) dichiarato incostituzionale dalla Corte Cost., con sent. n. 21 del 31 marzo 1961 e’ di fatto pienamente operativo.

Inoltre La L. n. 15 del 2005 ha specificato, introducendo l'art. 21 octies nel corpo della L. n. 241 del 1990, perfettamente recepita dalla legge 212/2000 che è annullabile ogni provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. E’ chiaro che il principio del buon andamento e dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione non viene rispettato.

Oggi questo problema è stato superato con gli accertamenti impoesattivi, si prendono i soldi direttamente senza nemmeno noticare la cartella

 

4.La sentenza e’ provvisoriamente esecutiva solo per lo Stato in violazione della parità di trattamento tra fisco e contribuente e giusto processo

 

L’art.111 della Costituzione stabilisce: La giurisdizione si attua mediante il giusto  processo  regolato  dalla

legge.     Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge  ne  assicura  la ragionevole durata.

Parità di trattamento tra Fisco e contribuenti per un giusto processo. E' assolutamente doveroso, per una corretta analisi della fattispecie, ricordare che, in linea generale, per effetto della nuova concezione dell'attività della Pubblica amministrazione, lo Stato non amministra più per atti d'imperio, ma per consenso. Per cui e' chiaro, che il principio della parità di trattamento tra Fisco e contribuente per il giusto processo e' violato. Detta concezione trova applicazione, nell'ambito tributario, nella corrispondenza di un necessario confronto con il contribuente.

Quando lo Stato vince in primo grado solo lui puo’ chiedere le somme dovute in via esecutiva, il contribuente deve aspettare la sentenza passata in giudicato.

Per la stessa suddetta finalità si ricordano, altresì, le seguenti norme:

- art. 97 Cost.: principio della imparzialità oggettiva, in base al quale il modus operandi della Pubblica amministrazione deve essere veicolato verso il reale interesse dell'Erario, che non è costituito dalla

massimizzazione del proprio profitto in termini di maggior imposta accertata, ma deve essere coniugato con i principi di una giusta ed equa tassazione, nel pieno rispetto dei diritti del contribuente nell'ambito di un rapporto improntato a correttezza, collaborazione, trasparenza e buona fede;

- art. 6 c. 5, L. 212/2000 (Statuto del contribuente) : principio della partecipazione, nel quale si prevede che l'Amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici,

a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni;

- art. 7 L. 212/2000 e art. 3 L. 241/1990: obbligo generale di chiarezza e motivazione degli atti, secondo il quale ogni provvedimento amministrativo, esclusi gli atti normativi e quelli a contenuto generale, deve essere motivato, ovvero deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'Amministrazione.

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