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L'AUTOTUTELA SERVE DAVVERO? SI MA SOLO ALLO STATO
Ultimo aggiornamento 09/10/2011
SPECIALISTA IN RICORSI AVVERSO CARTELLE ESATTORIALI, FERMI AMMINISTRATIVI, IPOTECHE, ACCERTAMENTI

 

L’autotutela usato per chiedere all’amministrazione finanziaria l’annullamento di atti illegittimi, e’ uno strumento che purtroppo serve a poco o a niente.

Molti contribuenti fanno istanza di autotutela, nel frattempo scadono i termini per il ricorso, l’ufficio non risponde o se risponde risponde negativamente e il povero cittadino e’ costretto a pagare.

In primo luogo bisogna sapere che l’autotutela non e’ un diritto del contribuente, ma podestà dell’ufficio, quindi non un dovere dell’amministrazione finanziaria, ma semplicemente una facoltà discrezionale.

L’autotutela, nasce non per tutelare noi cittadini, ma per tutelare lo stato, che quando si rende contro (quasi mai) che su determinate questioni perde innanzi alle Commissioni tributarie lo puo’ annullare facendo risparmiare soldi al tesoro.

Non c’e’ pero’ dubbio che il cittadino ha diritto ad ottenere una risposta, certo, ma deve impostare la richiesta citando la legge 241/90 richiedendo l’accesso agli atti amministrativi e di conoscere il nome del funzionario responsabile del procedimento, che se diffidato per tre volte puo’ incorrere nel reato di omissione di atti d’ufficio.

L’istanza di autotutela va indirizzata, all’agenzia delle entrate, alla direzione regionale delle entrate e al Garante del contribuente (ben tre raccomandate).

Poi ovviamente ci vogliono ben altri tre solleciti ogni 30 giorni, procedura direi alquanto “economica e snella”.

Ricordate pero’, che l’autotutela non sospende i termini per fare ricorso, quindi se non lo fate restate fregati.

In genere non conviene mai ricorrere all’autotutela, almeno che’ non si faccia anche il ricorso contemporaneamente.

A mio avviso l’autotutela conviene, solo se un atto e’ palesemente illegittimo e avete fatto scadere i termini per ricorrere, ricordate pero’ che se avete avuto una sentenza della Commissione tributaria su quello specifico atto, passata in giudicato, l’autotutela e’ inammissibile.

Un altro problema attualmente dibattuto e se il diniego dell’autotutela sia atto impugnabile, si, ma con delle limitazioni, il Giudice controlla solo che la motivazione del diniego sia adeguata e non entra nel merito, almeno che’ la motivazione sia insufficiente o rimarchi semplicemente le motivazioni della pretesa.

Attenzione che il ricorso non deve essere impostato come silenzio rifiuto, questi e’ previsto solo per il  rimborso, ma come diniego.

La materia dell'autotutela è stata disciplinata normativamente soltanto con la L. 7 agosto 1990, n. 241, ma  la  giurisprudenza  del  Consiglio  di Stato ha elaborato una serie di criteri,  successivamente  trasposti  nella norma  citata,  anche  se  con  qualche  modifica  connessa  all'evoluzione culturale che ha rivoluzionato parte del diritto amministrativo:

       - l'iniziativa dell'annullamento spetta  all'Amministrazione  ed  un eventuale atto di impulso della parte  lesa  non  comporta  un  obbligo  di pronuncia (su questo punto, come vedremo, vi sono opinioni contrastanti);

       - il potere di annullamento spetta all'organo che ha emanato  l'atto e può essere esercitato senza limiti temporali;

       - l'annullamento ha efficacia retroattiva.

    In questo contesto di riferimento la  L.  n.  241/1990,  modificata  ed integrata  dalla  L.  n.  15  dell'11  febbraio  2005,  che,  come   detto, rappresenta un pietra miliare nel nostro ordinamento già per il solo  fatto di rappresentare la legificazione di principi costruiti in via dottrinaria, fornisce un quadro compiuto della materia.

    L'autotutela    può    essere    esercitata    attraverso    l'istituto dell'annullamento (artt. 21-octies e 21-novies)  laddove  l'Amministrazione riscontri la presenza di vizi di legittimità - violazione di legge, eccesso di  potere  ed  incompetenza  -  del  provvedimento  adottato  o  dei  suoi precedenti atti o mediante la revoca (art. 21-quinquies),  laddove  ritenga che mutamenti dei presupposti di fatto o di diritto impongano  una  diversa considerazione della cura dell'interesse pubblico.

    Un atto amministrativo illegittimo in caso di annullamento perde la sua efficacia ex tunc, cioè dalla data della sua emanazione e  coinvolge  tutti gli atti ad esso consequenziali; viceversa, l'atto amministrativo  revocato per vizio di merito, perderà la sua efficacia  ex  nunc  cioè  dal  momento

della revoca.

    Un'ulteriore distinzione riguarda l'eventuale pregiudizio  recato  agli interessati  poiché  l'Amministrazione,  per  il  mancato  esercizio  della revoca, ha l'obbligo di disporre il pagamento di un indennizzo (per la  cui determinazione è consentito il ricorso al giudice amministrativo al quale è demandata la giurisdizione esclusiva), mentre tale obbligo non  è  previsto in caso di annullamento.

    Gli strumenti summenzionati presuppongono, in ogni caso,  l'obbligo  di motivazione, l'individuazione delle concrete ragioni di pubblico interesse, la valutazione degli interessi privati coinvolti, il rispetto delle  regole del contraddittorio nel procedimento di rimozione e l'espletamento di una adeguata istruttoria.