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La dichiarazione dei redditi si può rettificare?
Ultimo aggiornamento 17/06/2015
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La dichiarazione è sempre emendabile entro 4 anni dalla presentazione e tale principio riconosciuto dalla Cassazione, ma non dal fisco trova conferma anche con il nuovo ravvedimento 2015 che consente di pagare con il ravvedimento entro 4 anni. Per il fisco la rettifica va effettuata entro 1 anno  dalla presentazione.

 La dichiarazione dei redditi è sempre emendabile e ritrattabile e non é assimilabile ad una confessione, ma ad una dichiarazione di scienza ed e' rettificabile entro 4 anni. Nella mia carriera professionale molto spesso mi e' capitato di avere dei clienti con delle dichiarazione errate, la cui rettificabilità è stata quasi sempre una missione impossibile, l'amministrazione finanziaria e' molto riluttante alla possibilità di ritrattare la dichiarazione. La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 25 ottobre 2002 n. 15063 resa a sezione unite ha stabilito che la dichiarazione dei redditi e, in linea, di principio sempre emendabile e ritrattabile, la dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, alla luce del Dpr 600/73, nel testo applicabile "ratione temporis", è in linea di principio  emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l'assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. Ciò in quanto: la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell'iter  procedimentale volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria, l'art.9 commi 7 e 8 del Dpr 600/73 , nel testo vigente in quel tempo, non pone alcun limite temporale all'emendabilità e alla ritrattabilità della dichiarazione dei redditi risultanti da errori commessi dal contribuente; un sistema legislativo che intendesse negare in radice la rettificabilità della dichiarazione, darebbe luogo a un prelievo fiscale indebito e, pertanto, non compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva art.53 , 1 c della Costituzione e dell'oggettiva correttezza dell'azione amministrativa art. 97 c1 della Costituzione.

La stessa Corte di cassazione con la sentenza n. 21944 del 19 ottobre 2007 con maggiore precisione ha stabilito che la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, bensi'  costituisce una semplice esternazione di scienza e di giudizio ed in quanto tale é modificabile, costituendo solo una fase di un complesso iter procedimentale volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria . La suprema Corte osserva come un sistema legislativo che intendesse negare in radice una siffatta possibilità determinerebbe un prelievo fiscale indebito e, pertanto, incompatibile con i principi costituzionali della capacita contributiva e dell'oggettiva correttezza dell'azione amministrativa sanciti agli artt. 53 primo comma e 97 primo comma della nostra Costituzione. La Corte di cassazione con la sentenza 2 marzo 2004 n. 4236 si pronuncia anche in materia di Iva, rilevando che la dichiarazione del contribuente non costituisce la fonte dell'obbligo tributario, ne produce effetti assimilabili a quella di una confessione, la Corte osserva che il termine ragionevole per l'emendabilità della dichiarazione (che deve essere necessariamente fissata, altrimenti verrebbe gravemente violato il principio della certezza dei rapporti giuridici), va individuato, nel silenzio del legislatore, in quello quadriennale stabilito per la rettifica della dichiarazione da parte dell'ufficio di cui all'art. 57 dpr 633 comma 2, termine da considerare, nel contesto del principio di parità e di bilanciamento delle posizioni, validamente operante anche per il contribuente.   Per il socio di una società che ha presentato un errata dichiarazione per la Corte di Cassazione con sentenza 5 maggio 2006 n. 10356 che ha riconosciuto la possibilità del socio di dimostrare un reddito diverso da quello dichiarato dalla società, ma solo limitatamente alla sua posizione. Nel giudizio, infatti e’ consentito al socio lo svolgimento di ogni  difesa con riguardo alla esistenza e alla consistenza del proprio reddito di partecipazione non essendo egli legittimato ad impugnare, in quanto tale, l'avviso di accertamento emesso nei confronti della società, e non essendo quindi a lui opponibile il giudicato formatosi fra la stessa e l'erario qualora egIi non abbia spiegato l'intervento adesivo nel relativo giudizio.

 

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