
Dott. Giuseppe Marino - specialista in ricorsi tributari - www.studiomarino.com Copyright©Riproduzione riservata
 
081/5706339        
 
081/0060351     
    
 
Consulenza Gratuita    (solo 
per e-mail o via fax)        
                             
Orari d'ufficio 9.30-12.30 e 15.30 - 18.30 La consulenza gratuita e' ammessa via e-mail o via fax ,viene fornita a campione non e' garantita la risposta a tutti.
Per un parere via fax compilare il modulo e allegare copia dell'accertamento e inviarlo allo 081/0060351
EFFETTUIAMO RICORSI IN TUTTA ITALIA


Procedura 
 civile 
per commercialisti
Prima parte – L’attività giurisdizionale, l’azione e la 
domanda
L’art.24 comma 1 
della Costituzione. 
Stabilisce che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti 
e interessi legittimi, quindi il diritto alla difesa è costituzionalmente 
garantito ed è diritto inviolabile. L’attività giurisdizionale ha due 
caratteristiche, la 
strumentalità 
(ossia è lo strumento per far rispettare i diritti, perché spesso il rispetto 
non è spontaneo) e la 
sostitutività 
(perché il cittadino non può farsi giustizia da solo e 
quindi nella tutela del diritto viene sostituito dal Giudice).
L’attività giurisdizionale ha una 
funzione (a cosa serve) e una struttura (come opera), la funzione dell’attività 
giurisdizionale in linea generale 
 è 
la tutela dei diritti, quindi per poter 
esperire un azione giudiziaria (in linea generale)
 è 
necessario un presupposto ossia la 
lesione di un diritto, 
dal quale scaturisce la tutela giurisdizionale ossia la protezione, la reazione 
a un pericolo o un attacco al diritto medesimo.
Quindi se viene leso un diritto c’è una
lite ossia una posizione di contrasto tra 
due soggetti, quindi 
oggetto del processo
sono 
i diritti, 
da qui discende che il presupposto 
del riconoscimento del diritto è 
la prova
e di conseguenza 
oggetto della prova sono i fatti. 
a tal fine 
l’art. 2697
cc 
stabilisce che chi vanta un diritto lo deve provare e 
l’art. 115 del cpc
che le prove devono essere fornite dalle parti.
Quindi le prove sono supportate dai fatti, abbiamo 
sostanzialmente 
Fatti principali
e Fatti secondari, i fatti principali 
sono immediatamente rilevabili
(dalla documentazione) i 
fatti secondari 
invece si desumono da un 
sistema di presunzioni.
Relativamente ai fatti principali, i
fatti costitutivi
del diritto devono essere provati dall’attore 
(ossia colui che è ricorso al giudice), mentre i fatti estintivi, impeditivi o 
modificativi, devono invece essere provati dal convenuto (ossia la parte 
resistente)
Le presunzioni sono definite dall’art. 
2727 
del cc che stabilisce che “Le presunzioni sono le 
conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un 
fatto ignorato”, sono di due tipi presunzioni semplici e presunzioni legali, l’art. 
2729 del cc stabilisce che “Le presunzioni non 
stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice [116 c.p.c.], il 
quale non deve ammettere che 
presunzioni gravi, precise e 
concordanti 
.Le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui 
la legge esclude la prova per testimoni”.
Nel processo tributario non sono ammesse le prove 
testimoniali e di conseguenza non dovrebbero nemmeno essere ammesse le 
presunzioni semplici.
Ma cosa significa fatti gravi precisi e concordanti nel 
diritto tributario? Negli anni, la giurisprudenza di legittimità ha precisato 
che:
Per le presunzioni semplici i requisiti possono essere cosi 
di seguito dettagliati:
“gravi” 
sono gli elementi presuntivi oggettivamente e intrinsecamente consistenti e, 
come tali, resistenti, alle possibili obiezioni; 
fatti non medie matematiche, quindi studi di settore e redditometro, ossia tutti 
gli accertamenti parametrici non costituiscono prova di evasione, ma la gravità 
invece viene dimostrata dall’omesso rilascio ripetuto dello scontrino fiscale 
nell’anno di accertamento ad esempio.
“precisi” 
sono quelli dotati di specificità e concretezza e non suscettibili di diversa, 
altrettanto o più verosimile interpretazione; In verità una presunzione non può 
essere "precisa". La precisione è propria delle scienze matematiche, ma non può 
esserlo di una presunzione, la quale, semmai
deve tendere a 
un elevato grado di probabilità del fatto presunto, 
“concordanti” 
sono quelli non confliggenti tra loro e non smentiti da dati ugualmente certi.
La 
"concordanza" 
presuppone che gli elementi 
presuntivi siano molteplici (almeno due) e, quindi, convergenti tra di loro. 
La Cassazione, ha più volte stabilito, tuttavia, che anche un unico elemento 
presuntivo, purché particolarmente grave, univoco e coerente può soddisfare i 
requisiti dell'articolo 2729 del codice civile, ma tale interpretazione non è 
affatto condivisibile, la concordanza presuppone più fatti.
Le 
presunzione legali
invece, hanno una forza persuasiva superiore, a tal 
punto che dal fatto noto si risale al fatto ignorato automaticamente, onerando 
con 
l’inversione dell’onere della prova
il soggetto a sfavore del quale è posta la 
presunzione di dimostrare il contrario.
Non tutti i fatti devono essere provati; infatti 
non devono essere provati:
I Fatti Ammessi: 
I fatti che le parti in modo pacifico ammettono in modo esplicito o implicito
I Fatti non 
specificatamente contestati: 
ai sensi dell’art. 114 del cpc come modificato dalla L.69/2009 entrata in vigore 
il 04/07/2009 che ha codificato il principio di non contestazione già elaborato 
dalla Giurisprudenza Cass. Sez. U,23/01/2002 n. 761, in virtù del quale i fatti 
non specificatamente contestati si hanno per acquisiti
I Fatti Notori: 
I fatti che rientrano nella comune esperienza.
Le prove poi si classificano con riferimento al processo in 
prove precostituite e prove costituende:
 Le 
prove precostituite: presentate prime del 
processo, sono soggette alla valutazione postuma del Giudice sono ad esempio le 
prove documentali.
Le prove costituende: 
Sono le prove che invece si formano nel processo, sono valutate preventivamente 
dal Giudice e sono proposte su istanza di parte e dopo aver superato il 
giudizio di ammissibilità e 
rilevanza del Giudice, con il 
giudizio di ammissibilità
accerta che 
quel tipo di prova sia ammesso 
dalla legge, ad esempio la prova testimoniale 
non è ammessa per  i 
contratti, i pagamenti e nel processo tributario, il giuramento decisorio non è 
ammesso per i diritti indisponibili. Con il giudizio di rilevanza il Giudice 
accerta che quel tipo di prova sia idoneo fatti principali o secondari 
controversi, salvo non operi il principio di non contestazione.
I presupposti processuali
Ossia i requisiti che devono esistere prima che un determinato atto (la domanda) 
produca effetti.
Presupposti dell’esistenza del processo: 
ossia l’esistenza di un giudice che abbia giurisdizione in senso ampio, ovvero 
un 
Giudice che abbia il potere di 
Giudicare
Presupposti di validità e procedibilità del processo: 
ossia la 
competenza del giudice
(effettivo potere di decidere, per materia, per 
valore e per territorio) 
 e la 
legittimazione processuale 
dell’attore 
(potere di compiere atti processuali).
Cosa succede se sbaglio giudice? E’ rimediabile tramite 
l’istituto della 
Traslatio Iudicii
che consente in virtù del principio di prosecuzione 
del processo davanti al giudice munito di giurisdizione, la possibilità di 
riassumere la causa davanti al giudice giusto.
	
	Esiste un altro ordine di requisiti che non sono presupposti perché la loro 
	esistenza non è richiesta prima della proposizione della domanda, ma della 
	domanda stessa costituiscono requisiti intrinseci con riguardo al suo 
	contenuto: le condizioni dell’azione.
	
	Le condizioni dell’azione sono 
	tre: 
	
	a)           
	
	Possibilità giuridica
	(o esistenza del diritto): che consiste nella 
	esistenza di una norma che contempli in astratto il diritto che si vuol far 
	valere.
	
	b)          
	
	Interesse ad agire
	(art. 100 c.p.c.): l’interesse per cui si 
	agisce o contraddice deve essere concreto (ossia deve sussistere 
	concretamente) ed attuale (ossia deve esistere al momento della pronuncia 
	del giudice). Mancando l’interesse ad agire, il giudice non avrà motivo di 
	portare il suo esame sul merito, ma dovrà arrestarsi al rilievo di tale 
	difetto: difetto di interesse e, quindi, difetto di azione. 
	
	
	c)           
	
	Legittimazione ad agire: 
	consiste nella corrispondenza tra colui che agisce (attore) ed il titolare 
	del diritto fatto valere, e tra colui contro il quale si agisce (convenuto) 
	ed il soggetto che ha violato tale diritto. Si possono far valere soltanto 
	quei diritti che si affermano come diritti propri e la cui titolarità 
	passiva si afferma in capo a colui contro il quale si propone la domanda. 
	Quindi “un soggetto agisce in nome proprio per un proprio diritto”. Tale 
	condizione, si può desumere, indirettamente, dall’art. 81 c.p.c., secondo 
	cui “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far 
	valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”. Si parla di 
	legittimazione straordinaria 
	o sostituzione processuale. Un esempio di 
	legittimazione straordinaria è l’azione surrogatoria, prevista dall’art. 
	2900 c.c., a favore del creditore nel caso che il debitore trascuri di far 
	valere i propri diritti.  
	
	Principio della domanda
	
	
	e poteri del giudice
	
	Il processo civile si instaura su domanda di parte: è necessario che sia il 
	titolare del diritto soggettivo a proporre la domanda all’organo 
	giurisdizionale competente (art. 99 c.p.c. “Principio della domanda”).
	
	Nel processo entrambe le parti si confrontano attuando ciascuna il proprio 
	diritto di difesa. Il principio del contraddittorio (art. 101 c.p.c.), è una 
	manifestazione del “diritto alla difesa” ex art. 24 Cost., e risponde 
	all’esigenza di garantire coloro che dovranno subire le conseguenze della 
	sentenza un ruolo attivo che gli consenta di far valere le proprie ragioni.
	
	
	Il giudice non 
	può decidere sulla domanda se non è stata data al convenuto la possibilità 
	di intervenire (ad esempio con la notificazione dell’atto di citazione).
I 
	Principi del processo
Principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.): il giudice deve pronunciare ex art. 112 c.p.c. su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti. Per cui se non chiedete non vi sarà concesso, se non chiedete la riduzione in subordine dell’annullamento il giudice non può concedervelo, se non chiedete la sospensione il giudice non può concedervela
Pronuncia secondo 
	diritto: nel 
	pronunciare la decisione il giudice deve seguire le norme del diritto, salvo 
	che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità (artt. 
	113, comma secondo, e 114 c.p.c). Il giudice, inoltre, è libero di scegliere 
	la norma da applicare al caso, anche fuori da quelle indicate dalle parti (“iura 
	novit curia”Il 
	Giudice conosce le leggi).
	
	Principio del dispositivo 
	(art. 115 c.p.c.): al potere di porre la domanda si aggiunge l’onere per 
	l’attore di fornire la prova dei fatti che giustificano le ragioni della 
	domanda, così come il convenuto ha l’onere dell’eccezione. La raccolta del 
	materiale probatorio è, quindi, nella disponibilità delle parti, principio 
	che si sintetizza nell’antica massima latina “iudex 
	secundum alligata e probata iudicat debet”, il
	giudice deve giudicare secondo le cose allegate e provate (salvo i 
	casi in cui il giudice d’ufficio può disporre l’assunzione di mezzi di 
	prova).
	
	Valutazione delle prove 
	(art. 116 c.p.c.): il giudice deve valutare le prove secondo il suo
	prudente apprezzamento (“prova 
	libera”, es. 
	prova testimoniale), salvo che la legge disponga altrimenti (“prova 
	legale”, es. 
	atto pubblico).
	
	Gli elementi distintivi dell’azione -  individuatori 
	delle azioni
Gli elementi individuatori dell’azione si distinguono in:
- elementi 
	soggettivi (o personae): soggetto attivo (attore), 
	colui che propone la domanda ossia che fa il ricorso , e soggetto passivo (convenuto), colui contro il quale la domanda è proposta;
- elementi 
	oggettivi: oggetto (o 
	petitum) e titolo (o causa 
	petendi).
	
	Il petitum (la domanda che si fa al giudice)
	
	 si 
	distingue in “mediato”, il bene della vita che si chiede al convenuto (es. 
	somma di denaro che si chiede a titolo di risarcimento danni), ed 
	“immediato”, il provvedimento che si chiede al giudice di emanare (es. 
	sentenza di condanna al risarcimento dei danni subiti). 
	
	Causa petendi
	
	
	significa ragione del domandare 
	(il contenuto del ricorso o meglio l’esposizione dei fatti e degli elementi 
	di diritto che stanno a fondamento della propria domanda), e, quindi, 
	ragione giuridica o titolo giuridico, su cui la domanda si fonda.
	Può accadere 
	che tra due o più azioni vi sia comunanza di tutti od alcuni degli elementi 
	identificativi dell’azione (soggettivi ed oggettivi). A seconda di quali 
	elementi abbiano in comune è possibile individuare tre distinte figure 
	processuali: litispendenza, continenza e connessione.
	
	Litispendenza: 
	La 
	litispendenza (art. 39, comma primo, c.p.c.) è la situazione che si 
	determina quando due o più cause identiche (ossia che abbiano tutti e tre gli 
	elementi identici: stessi soggetti, stesso oggetto e stesso titolo)
	pendono 
	dinanzi a giudici diversi. Ai 
	sensi del citato comma primo, è 
	competente il giudice adito per primo
	mentre quello adito successivamente, “in qualunque stato e grado del 
	processo, anche d’ufficio, dichiara con sentenza la litispendenza e dispone 
	con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo”. Per giudice adito per 
	primo, si intende il giudice “preventivamente adito”. Il criterio della
	prevenzione (art. 39, comma terzo), si determina in base alla notificazione della 
	citazione; pertanto, si considera adito preventivamente, il giudice il cui 
	relativo atto di citazione sia stato notificato per primo. Qualora
	la stessa causa viene proposta per la 
	seconda volta di fronte allo stesso giudice, questi ne ordina la riunione 
	(art. 273 c.p.c.).
	
	Continenza: 
	La 
	continenza di cause (art. 39, 
	comma secondo), si verifica in presenza di 
	
	
	due cause che hanno in comune i soggetti e la 
	
	
	causa petendi, ma il petitum 
	di una è più ampio in modo da “contenere” il petitum
	dell’altra
	(ad 
	es.: in un processo si chiedono tutte le rate di un mutuo ed in un altro 
	processo se ne chiede una sola). Se il giudice preventivamente adito è 
	competente anche per la causa proposta successivamente, il secondo giudice 
	con sentenza deve dichiarare la continenza e fissare un termine per la
	riassunzione della causa davanti al 
	primo giudice (criterio 
	della prevenzione). 
	In caso contrario - ossia quando il primo giudice non è competente anche per 
	la causa proposta successivamente - è quest’ultimo ad emanare la sentenza di 
	continenza ed a fissare un termine per la riassunzione davanti al secondo 
	giudice (criterio 
	dell’assorbimento). 
	Sia la sentenza sulla litispendenza, sia quella sulla continenza possono 
	essere impugnate con regolamento necessario di competenza
	 l giudice che ravvisa la continenza 
	tra una causa propostagli ed altra precedentemente instaurata dinanzi ad un 
	giudice diverso (art. 39, comma 2, c.p.c. ), deve verificare se sussiste la 
	competenza di quest'ultimo (per materia, territorio inderogabile e 
	derogabile, e valore) non solo in relazione alla causa da rimettergli, ma 
	anche se detto primo giudice è competente per la causa su cui è stato 
	preventivamente adito.E’ questo il principio di diritto in tema di 
	continenza di cause enunciato dalle Sezioni Unite della
	Corte di Cassazione SSUU Ordinanza 13 
	luglio 2006, n.15905.
Connessione: La terza ed ultima figura è la connessione, che consiste nella coincidenza di taluni, ma non di tutti, gli elementi di identificazione di due o più azioni. La connessione tra le azioni può dipendere sia dalla comunanza di entrambi gli elementi soggettivi (connessione soggettiva) e sia dalla comunanza di almeno uno degli elementi oggettivi, stesso petitum e/o stessa causa petendi (connessione oggettiva). La connessione soggettiva si verifica quando due o più cause hanno in comune entrambi i soggetti (es. art. 104 c.p.c. “Pluralità di domande contro la stessa parte”). In tal caso le cause possono essere proposte davanti allo stesso giudice competente, purché il cumulo delle domande (c.d. cumulo oggettivo) non ecceda la sua competenza per valore.La connessione oggettiva si distingue, a sua volta, in connessione oggettiva propria e connessione oggettiva impropria: è “propria” quando le cause hanno in comune l’oggetto o il titolo; “impropria” quando la decisione delle cause dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni di diritto (è detta impropria perché le cause connesse non hanno alcun elemento oggettivo in comune). La connessione oggettiva, a sua volta può dar luogo al c.d. cumulo soggettivo ossia pluralità di parti nel processo: pertanto, possibilità per più soggetti di agire, ossia assumere la qualità di attori, insieme, nello stesso processo, o, viceversa, possibilità per l’attore di convenire nello stesso processo più persone. Tale fenomeno della presenza di più parti nello stesso processo si chiama litisconsorzio facoltativo, art. 103 c.p.c.Ai sensi dell’art. 40, comma terzo, c.p.c., la connessione può essere rilevata anche d’ufficio, non oltre la prima udienza (183 c.p.c.). La sentenza con la quale il giudice dichiara la connessione è impugnabile con il regolamento necessario di competenza.
Copyright©Riproduzione riservata